Omicidio di Pombia: in aula testimoniano i carabinieri

Prima di morire Mendola tentò di salvarsi intimidendo il suo killer

Omicidio di Pombia: in aula testimoniano i carabinieri
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Omicidio di Pombia: in tribunale emergono nuovi dettagli durante le testimonianze dei carabinieri.

Omicidio di Pombia: si torna in aula

E’ tornato in aula per la terza volta da inizio anno il caso del delitto di Pombia. Si tratta di un secondo filone processuale, valutato che nel primo sono già stati condannati gli assassini. Dopo l’udienza dello scorso 4 febbraio, durante la quale erano comparsi a testimoniare alcuni carabinieri che all’epoca dei fatti hanno condotto le indagini, lunedì 25 marzo scorso è ripreso - proprio con l’ascolto di altri militari coinvolti - il procedimento penale davanti ai giudici della Corte d’Assise di Novara che vede alla sbarra Giuseppe Cauchi, il 50enne imprenditore edile accusato di essere il mandante del delitto di Matteo Mendola, disoccupato 33enne originario di Gela e conoscente dell’imputato, ucciso la sera del 4 aprile 2017 nei boschi della Valle del Ticino. Antonio Lembo e Angelo Mancino, rispettivamente esecutore materiale e complice dell’omicidio sono stati, come detto, condannati a 30 anni di reclusione ciascuno, al termine dell’abbreviato e attendono ora l’esito del ricorso.

Emergono nuovi dettagli

Durante l’udienza di lunedì scorso per ricostruire l’accaduto ha testimoniato, tra gli altri, il capo (all’epoca dei fatti) del Nucleo investigativo dei carabinieri Sandro Colongo, che ha ricordato come sin da subito Cauchi fosse stato indicato come mandante dall’assassino. Sempre lunedì, è emerso anche che appena prima di morire, Mendola sarebbe riuscito a parlare con Lembo. Gli avrebbe detto, forse nel tentativo estremo di intimorirlo, di essere in qualche modo in contatto con personaggi del mondo della criminalità gelese residenti a Novara e dintorni.

Si torna in tribunale l'11 aprile

Il procedimento in Corte d’Appello era iniziato il 21 gennaio 2019, mentre il fatto di sangue, lo ricordiamo, avvenne alle 22 circa del 4 aprile di due anni or sono. Quella sera Lembo e Mancino avevano convinto Mendola a seguirli nel Novarese con la scusa di compiere insieme un furto in una cascina. Ma una volta giunti in località Baraggia della frazione San Giorgio, nei pressi della MirPlast, il primo aveva barbaramente freddato il gelese con due colpi di pistola. Poi, siccome il 33enne non era morto - la pistola si era inceppata - si era anche accanito contro di lui colpendolo più volte con una vecchia batteria trovata lì nel bosco. Il corpo di Mendola era stato abbandonato e poi ritrovato l’indomani da un pensionato. Coordinati dalla procura, i carabinieri di Novara avevano stretto le manette attorno ai polsi di Lembo e Mancino, poi a settembre di due anni fa avevano arrestato anche Cauchi, sin da subito dichiaratosi innocente. Lembo, invece, aveva confessato di aver sparato per eseguire un ordine proprio di Cauchi (come confermato lunedì scorso in aula), che gli avrebbe pure fornito l'arma. Movente del delitto sarebbe una questione di debiti e non, come ipotizzato nella fase d’indagine e nelle prime battute processuali, una faccenda legata alla droga. Il processo è stato aggiornato ad aprile. Si tornerà in aula giovedì 11.

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